La valutazione e vendita dipinti antichi e un escursus sulla pittura romana

L’attività di acquisto di antichità apprezzate all’interno di un mercato all’interno del quale l’opera ha visto costantemente aumentare il suo valore economico è svolta dai collezionisti d’arte.
Una volta deciso il campo d’interesse dove si recherà il collezionista nella sua ricerca di oggetti e dipinti che soddisfino il suo gusto ed il suo interesse?

Sicuramente la fonte principale in cui trovare oggetti d’antiquariato sono gli antiquari, i mercatini, le fiere dell’usato, ma anche le sale d’asta e le vendite all’incanto. Ognuno di questi affronta l’ambito della valutazione e della vendita in maniera differente, ciò è da tener presente nella ricerca dei nostri dipinti, mobili, sculture, ceramiche ed altro.
Se da un lato è chiaro che gli antiquari sono dei professionisti del commercio e mirano all’alienazione dei beni che possiedono al fine di ricavare un profitto non va dimenticato che la maggior parte di loro sono dei veri e propri esperti, dei veri studiosi del campo in grado di rispondere alle domande più complesse e di fornire fonti affidabili nell’esposizione di una descrizione fornendo delle vere e proprie lezioni sui pezzi da loro trattati.
E’ indubbio che per molti collezionisti la fase di ricerca sia dell’oggetto d’acquistare sia interessante tanto quanto l’acquisto vero e proprio. Un settore quasi a parte è costituto dalla vendita di dipinti antichi.

Ma andiamo a vedere nel dettaglio la storia della pittura e dei dipinti nell’antichità, soffermandoci in particolare sui dipinti e la pittura romana.

Pittura romana

Afferma Plinio che la pittura del suo tempo (I secolo d.C.) è «morente» o addirittura, è «finita» e contrappone il valore dei quadri antichi alla moda moderna di: «dipingere tutte le pareti».
Ma la pittura di cavalletto è andata perduta: non ci è più concesso, perciò, di dare ragione o torto allo scrittore latino. Possediamo invece, con un'abbonda relativ, la pittura murale. Più che quella della capitale conosciamo la campana: la catastrofe di Pompei, di Ercolano e degli altri centri vesuviani, seppellendo ma non distruggendo edifici pubblici e privati, ha permesso di conservare in gran parte le pareti con la loro decorazione pittorica, dall' età repubblicana fino al 79 d. c., anno della grande eruzione vulcanica.

Un passo di Vitruvio che delinea un profilo della pittura parietale ellenistico-romana, ha indotto a suddividere la decorazione murale (pompeiana in modo particolare) in quattro «stili» successivi.
È una classificazione ormai superata, perché schematica e arbitraria: sarebbe impossibile farvi rientrare i molti complessi motivi della pittura fra gli ultimi secoli avanti Cristo e il 79 d.C.
Può essere conservata, entro certi limiti, soltanto perché i diversi sistemi di intelaiatura generale decorativa senza pretendere di esaurire con questo il discorso sulla pittura e senza attribuire un assoluto rigore alla successione cronologica.
Premesse queste riserve e senza dare alla parola «stile» il suo significato di linguaggio artistico, elenchiamo, per comodità di classificazione, i quattro momenti.

Il primo stile, detto «ad incrostazione» (II secolo-metà del I a. C.), imita, aiutandosi, oltre che con i colori, anche con lo stucco, un rivestimento parietale di lastre marmoree rettangolari isòdome a filari alterni come nell'opus quadratum. E una decorazione semplice, più economica di quella marmorea; è strutturale, perché segue la forma e la misura, ossia la struttura, della parete ed ha origini ellenistiche.

Più complesso il secondo stile, detto «dell'architettura in «prospettiva» (metà del I secolo a.C.-inizi del I secolo d.c) La parete si orna ai elementi architettonici, mediante la cui impostazione prospettica si fingono archi, colonne, edicole, si immaginano quadri appesi al muro, oppure si sfondano artificialmente le pareti raffigurando paesaggi al di là di esse. Lo spazio della stanza ne risulta rimpiccolito, se gli elementi dipinti fingono aggettanti, o ingrandito se le prospettive lo fanno illusivamente dilatare.

Appartiene a questo periodo il grande fregio pompeiano della Villa dei Misteri.
Sulle pareti di una sala è dipinto, in prospettiva, un palco sporgente verso l'interno. Su di esso, contro un fondo a pannelli rossi, sono disposte, tutt'attorno, le varie figure, cosicché lo spettatore è, al tempo stesso, attore: non si trova, infatti, al di fuori della rappresentazione, ma ne è coinvolto, sia perché circondato, sia perché partecipe dell'impianto prospettico che è relazionato a lui.

 

Il terzo stile è detto «della parete reale» (prima metà del I secolo d.C.) perché, rinunciando alle complesse prospettive e limitandosi a pochi elementi architettonici per la divisione delle superfici, si dipingono quadretti o semplici figure, su un fondo a colore unico compatto.

Talvolta più che di «parete reale» dovremmo parlare di assenza di parete, come se
questa divenisse uno spazio indefinito. E il caso della Fanciulla che coglie fiori, un' elegante figura femminile, colta di spalle, priva di chiaroscuro volumetrico e perciò lieve nella veste gialla e nel panno bianco, disegnata con grazia “prebotticelliana” contro la superficie verde della parete, in un atteggiamento quasi danzante: una delle pili belle immagini della pittura antica, realizzata con pochi tocchi di colore, con calcolata economia di mezzi.
Nella Casa dei Vettii a Pompei sono graziosi fregi con Amorini, dipinti su una superficie nera, con pennellate chiare, luministiche, a «macchia». Questa pittura, anch' essa di origine ellenistica, è rapida; detta perciò da Plinio compendiaria, doveva apparire ai conservatori classicisti «riassuntiva», improvvisata, confusa: perfino uno scrittore avveduto come Petronio la giudica negativamente.

La pittura compendiaria non si esaurisce con questo periodo, ma sarà caratteristica anche dei secoli II e III. Si adatta alla raffigurazione di scene popolari, un po’ come sarà poi ripreso nei dipinti moderni, animate da molte, piccole figure, come nella Bottega del Fornaio, o di paesaggi, come nella Veduta di un porto, del quale l'occhio percepisce l'insieme, non i dettagli: questi sfuggono alle nostre capacità visive quando abbracciamo uno spazio troppo vasto del quale riceviamo solo un'impressione.

Il quarto stile, detto «dell'illusionismo scettico», deriva dal secondo, ma è più ricco, fastoso, baroccheggiante. Corrisponde a un gusto nuovo della committenza pompeiana, una committenza borghese neoricca che fa sfoggio dei propri mezzi finanziari con l'esuberanza della decorazione, spesso priva di misura e di equilibrio.